Nucara apre i lavori del Consiglio Nazionale/La piattaforma per elaborare alleanze

Un confronto programmatico ampio rigoroso ed approfondito

di Francesco Nucara

Cari Amici, questo Consiglio Nazionale, come ebbi a dire nel corso dei lavori dell’ultima Direzione, dovrebbe rappresentare una specie di congresso.

Non avevo previsto interventi sulla politica estera ma la decisione presa dall’ONU mi induce a esprimere il mio pensiero su tale grave problema.

La decisione italiana di dare voto favorevole alla risoluzione dell’Onu sulla Palestina è stata un errore. Ricordiamo che fino a 24 ore prima il governo italiano era propenso ad astenersi. Il premier Monti ha telefonato al premier israeliano Netanyahu per spiegargli che i rapporti di amicizia non sono compromessi. Il problema è come gli israeliani possano valutare un paese che pure ritenevano fino a ieri uno degli Stati europei più vicini. Il fatto che l’America fosse contraria, contribuisce a definire meglio la politica estera del nostro paese che si ritrova allineato con la Cina e la Russia. Il considerare che si poteva scegliere prudentemente l’astensione come la Germania e l’Inghilterra, che si è detta favorevole solo a determinate condizioni, rende ancora più chiara la situazione. Da questo momento i palestinesi, che non trattano direttamente con Israele da quattro anni a questa parte, possono ricorrere direttamente all’Onu per condizionare Israele e farlo quando a Gaza c’è una autorità che non riconosce il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. Le possibilità di pace in Medioriente hanno un solo presupposto: quello che Hamas riconosca il diritto dello Stato israeliano a vivere in confini sicuri e sospenda ogni ostilità nei suoi confronti. Il problema dello Stato e del popolo palestinese è molto più ampio e complesso di quello che si ritiene comunemente. Nessuno può sapere con certezza, senza una trattativa bilaterale fra israeliani e palestinesi, quali siano le pretese domani di uno Stato palestinese che potrebbe sconvolgere gli equilibri geopolitici dell’intera Regione, tanto più in un momento di ribellione delle masse arabe come quella che abbiamo assistito in questi mesi. E’ auspicabile che Abu Mazen usi il successo ottenuto all’Onu per ridimensionare la forza di Hamas. Ma se Hamas si vede riconoscere lo Stato palestinese senza dover accettare l’esistenza di Israele, perché mai dovrebbe deporre le armi in quel momento? Hamas vuole distruggere Israele perché Israele deve essere parte dello Stato palestinese. Per questo Israele considera ora la pace più lontana.

Per i repubblicani è sorto un problema non di poco conto: protesi sempre e comunque verso la pace ma nello stesso tempo convinti che la democrazia si difende ad ogni costo. Ricordiamo la tante volte citata frase di Ugo La Malfa: "La libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme". Quanti vorrebbero la fine di un’Europa Unita e federata oggi possono aggiungere un tassello alle loro tesi.

Per noi repubblicani è una giornata triste apprendere che le nazioni europee vanno all’ONU in ordine sparso e decidono il loro voto secondo gli interessi egoistici dei singoli stati.

Se vogliamo difendere Israele e l’unica democrazia che c’è in quella regione dobbiamo batterci perché Israele entri dalla porta principale nell’Unione Europea.

E forse, finalmente, sui problemi del Medioriente sarà possibile avere una strategia univoca

Per arricchire il dibattito abbiamo inviato con largo anticipo le schede programmatiche, che dovrebbero rappresentare la base per qualunque accordo politico.

La relazione prende spunto con qualche riconsiderazione dal documento approvato il 18 settembre 2012 con voto unanime salvo un astenuto.

Noi conosciamo bene la crisi in cui si trova l’Italia ed è proprio per questo che abbiamo voluto indicare gli strumenti per guidare il nostro Paese lontano dal baratro in cui stava precipitando facendo il nome di colui che, a nostro avviso, poteva riuscire in quest’opera assai difficoltosa e complicata.

Questo percorso l’abbiamo suggerito in tempi non sospetti, con un editoriale sulla "Voce" del 3 novembre 2011, quando ancora Mario Monti era il professor Monti e non il senatore a vita Mario Monti.

Avevamo indicato quel percorso dopo un’attenta lettura dei suoi scritti, che ci indusse a definirlo "un repubblicano senza tessera".

Questa indicazione, tuttavia, non nasceva all’improvvi-

Segue a pag. 2

segue da pag. 1 - so, bensì era il risultato di un lungo lavoro politico, propedeutico e ciò che sta avvenendo o dovrebbe avvenire oggi: una discussione sui contenuti per salvare il nostro Paese dalla bancarotta economica, sociale e civile.

Un lavoro iniziato al Congresso del 2007 e proseguito con il Convegno al Circolo della Stampa di Milano verso la fine dello stesso anno, e ripreso nel 2011 nell’ultimo Congresso di Roma.

Tanti contrasti politici interni, a tutti voi noti, hanno impedito un percorso più rapido.

Ma come diceva Turati all’inizio del ‘900: "Meglio avere torto nel proprio partito che avere ragione al di fuori di esso".

Quindi non abbiamo inventato niente di nuovo, ma abbiamo per tempo intravisto una via che già i nostri predecessori avevano tracciato e che tuttavia avevano solo avviato e non percorso.

Sentite, per esempio, cosa era scritto tra l’altro nel documento della Direzione Nazionale del 26 gennaio 1980: "La crisi delle strutture pubbliche e della coscienza civile in Italia è arrivata ad un punto di tale gravità e profondità da imporre a tutte le forze politiche che si riconoscono nella logica dell’emergenza comportamenti adeguati in materia di gestione delle istituzioni, di uso della pubblica amministrazione e del sistema dell’economia pubblica di adeguamento e di riforma nei centri decisionali della vita sociale".

E poco prima c’era la proposta: "Pertanto i repubblicani propongono l’esigenza di un confronto programmatico ampio, approfondito e rigoroso …"

Sembrerebbe che gli ultimi congressi repubblicani siano stati guidati da questa traccia e che la Costituente Liberaldemocratica abbia preso corpo in quel lontano gennaio del 1980, sulla base del lavoro svolto negli anni precedenti da Ugo La Malfa.

A noi non interessa oggi trovare colpevoli né interessa sapere quanti numericamente condividono il disegno liberaldemocratico, interessa la realizzazione di un progetto sul quale il partito lavora da anni e che deve essere l’asse portante del futuro prossimo e lontano.

So bene che molti di voi, cari amici, stanno già meditando la domanda chiave: bene, tutto bene, ma con chi ci alleiamo?

La risposta l’ho anticipata al recente Congresso della Consociazione di Forlì:

"Le alleanze strette all’inizio di legislatura si sono esaurite. Si ricontratta tutto e con tutti coloro che condivideranno in tutto o in parte i nostri programmi".

I repubblicani, tutti i repubblicani, nessuno escluso, prendano coscienza dell’emergenza pervasiva che attanaglia il Paese e trovino tra di loro quella solidarietà che è mancata in questi anni e se proprio non sono convinti fino in fondo facciano un atto d’amore verso il partito.

Abbiamo finalizzato i due ultimi Congressi Nazionali alla delineazione e alla definizione del nuovo raggio di azione politica del partito, nel momento in cui, con un’analisi rigorosa, avevamo tutti convenuto che il sistema politico bipolare ibrido, che aveva condizionato la vita politica nazionale nello scenario dell’inizio del nuovo millennio, si era manifestato incapace di comprendere, affrontare e risolvere la crisi endemica, strutturale che investiva il Paese. Abbiamo preso atto che anche il nostro percorso politico, così come si era delineato, non consentiva un’adeguata risposta repubblicana, e quindi un efficace contributo politico e di governo del Pri, alla questione nazionale: ricreare un sistema Paese che potesse riscoprire i valori della comunità sociale, dell’orgoglio nazionale, dello sviluppo, della crescita, della speranza e della certezza del futuro. Sono state queste le categorie morali, prima ancora che politiche, anche se poi si sono tradotti in concreti progetti politici, che hanno ispirato, guidato e portato a compimento, prima, l’idealità mazziniana dell’unità dell’Italia e della Repubblica (che per essere promulgata ha comunque dovuto attendere un secolo), e poi la grande ed entusiastica impresa della ricostruzione e dell’ammodernamento del paese nel dopoguerra, quando le forze politiche della sinistra di allora spingevano il paese verso un modello politico e sociale collettivista, antioccidentale, antieuropeista, disegni questi contrastati dalla comune visione e dalla convergenza governativa delle culture politiche cattolica e laico-risorgimentale.

Certamente, dopo la fase di crescita economica tumultuosa, e le epocali trasformazioni sociali (la massiccia emigrazione Sud-Nord, le riforme strutturali nel campo dell’educazione scolastica, dell’economia, del fisco e della vita civile), il Paese e la sua classe politica andarono via via smarrendo lo spirito originale. Già negli anni 70, si manifestavano chiari i segni dei pericoli e dei danni che incombevano sull’Italia. Come non ricordare le tormentate riflessioni politiche di Ugo La Malfa, che cogliendo con lucidità ed immediatezza le fosche nubi che si andavano addensando sul nostro futuro, indicava i danni che venivano prodotti da una politica miope, e spesso errata. Ma nel contempo, egli non desisteva dall’incitare, stimolare tutta la società italiana a correggere la rotta errata e fallimentare. La sua azione politica era intrisa dal pessimismo della ragione, ma ispirata dall’ottimismo della volontà di cambiamento.

E cosa ha fatto il partito repubblicano con l’ultimo congresso di Roma del 2011?

Ha constatato il fallimento del bipolarismo, ha preso atto della insufficiente elaborazione programmatica, rispetto ai gravi problemi del paese, espressa dalle forze politiche, ma non si è fermato: ha indicato un progetto politico, un programma di governo, un percorso operativo. In questo senso, quel congresso, con i suoi connotati di forte innovazione nella caratterizzazione del Partito, ha segnato l’inizio di un nuovo percorso, non tradizionale , nella vita e nell’azione del Pri.

Ricordo le difficoltà di alcune fasce del partito a comprendere la peculiarità del nostro congresso a tesi, confondendolo con quello, angusto e anacronistico, di altri partiti in altri tempi.

Devo anche ricordare che la minoranza, allora, preferì indicare un percorso più tradizionale, ed un progetto politico di corto respiro, pur( in apparenza) sostenendo il disegno liberal-democratico.

Da quel congresso il partito, tutto il partito, ha tratto linfa vitale per la sua azione politica, parlamentare, istituzionale. Abbiamo potuto misurarci e confrontarci, nel grigio panorama delle forze politiche italiane, con quanti avevano vive e pressanti le questioni nazionali: il debito pubblico, il risanamento del bilancio e l’obiettivo del pareggio strutturale, la competitività del sistema paese, gli strumenti per la crescita economica, senza la quale non vi è crescita occupazionale. Il progetto repubblicano e liberal-democratico, che con ostinata coerenza e con tenace convinzione abbiamo portato avanti in questi anni, appare sempre più la prospettiva più reale e più efficace di cambiamento del quadro politico e istituzionale italiano. Certe volte, però, assistendo alla ormai quasi quotidiana manifestazione di nuove dichiarazioni di "coming out" di fede liberal-democratica, anche da parte di soggetti che mai avremmo immaginato, temiamo che ci possano essere dei comportamenti strumentali. Anche all’interno del nostro partito, la forte accelerazione registrata sul progetto politico, che non possiamo che apprezzare, incoraggiare e stimolare, non deve far perdere di vista che l’organicità e l’unitarietà sono le condizioni essenziali per il successo della proposta repubblicana, eventuali velleità localistiche (oltretutto prive di seri ed originali contenuti programmatici), se vissute in isolata e pseudo autonomia, non possono che condurre al nulla, e nemmeno soddisfare ambizioni particolari. Se tali anomalie dovessero concretizzarsi, dovremo impedire che, nella loro corsa verso il vuoto, possano danneggiare il disegno del Pri.

Siamo stati soggetti attivi e in prima linea nell’analizzare la genesi e i contenuti della crisi che sta investendo ancora l’Italia. Abbiamo indicato le nostre proposte, spesso caratterizzate da contenuti innovativi e di significativa originalità, al presidente del consiglio sen. Monti, al governatore della Banca d’Italia, ad alcuni ministri competenti per materia. Ne ricordiamo ora soltanto due per la loro particolare caratterizzazione: il fondo per la gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare come strumento efficace per abbattere il nostro debito sovrano, e la radicale riforma del sistema gestionale delle strutture sanitarie pubbliche.

Al Presidente del Consiglio non abbiamo mai fatto mancare il pieno e convinto sostegno repubblicano nelle aule parlamentari, sulla stampa, nel dibattito politico. Abbiamo apprezzato il suo impegno per il Paese, il suo alto senso dello Stato, la sua opera in favore dell’Italia nelle istituzioni europee e nei contatti internazionali. La scelta istituzionale della sua persona è stata giusta, opportuna e ha contribuito, per certi aspetti, ad imprimere una spinta importante al processo di rinnovamento della cultura di governo dell’Italia. Monti ha presentato con "ruvida" chiarezza al Paese i termini della crisi, le conseguenze drammatiche ad essa connesse, la necessità di interventi mirati, incisivi ed anche necessariamente dolorosi. In questo senso ha certamente seguito il modello istituzionale di Ugo La Malfa, di Giovanni Spadolini, di Bruno Visentini.

E permettetemi un’intima soddisfazione.

In un’intervista televisiva Monti, parlando di sanità, andava oltre i concetti espressi nella recente lettera che gli avevamo inviato e ripeteva i concetti con le stesse identiche parole che noi avevamo scritto.

Ci riempie dunque di soddisfazione sapere che il Presidente del Consiglio ha sposato le nostre tesi sulla costruzione di un Fondo d’Investimenti, che raggruppasse tutto il patrimonio dello Stato. in attesa di condizioni di mercato migliori per la vendita.I partiti che hanno consentito la nascita dell’attuale governo hanno alternato una prima fase di acritico e passivo sostegno a tutte le proposte legislative, garantendo una tempestiva approvazione. Sono state così rese esecutive alcune essenziali riforme strutturali che avevano in passato incontrato ostacoli insuperabili. In una seconda fase, all’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, la produzione legislativa si è eccessivamente appesantita, ed oggi le notevoli difficoltà incontrate in Parlamento dal disegno di legge di stabilità ne sono un evidente segnale; per non parlare dei circa 20 provvedimenti legislativi, tutti importanti, oggi all’attenzione delle Camere e che, a meno di un ravvedimento improbabile, difficilmente verranno approvate dal Parlamento, stante il tempo di lavoro rimasto a disposizione prima dello scioglimento dello stesso. In un certo senso, sembra che i partiti abbiano riversato sul governo le loro acute difficoltà, ritenendo di potersi "smarcare" rispetto ad una politica di rigore e di coerenza europea. Invece i problemi del Paese sono ancora attuali e penetranti; si è evitato il baratro, bisogna ancora operare per risanare e rilanciare l’Italia: il lavoro è ancora lungo e impegnativo. D’altra parte, come si può pensare che tantissimi anni di non governo, che hanno prodotto i danni da noi più volte denunciati, potessero essere superati in meno di 12 mesi, pur con l’encomiabile impegno profuso dal presidente Monti?

La crisi non sembra in fase di risoluzione, e nemmeno di arretramento; anzi le decisioni del declassamento del debito sovrano della Francia, e i segnali di emergenti difficoltà della Germania, come segnalato di recente dal presidente della BCE, prof. Draghi (e da un recente editoriale della "Voce" a firma del prof. Sanseverino), ripropongono con forza i pericoli latenti di una recrudescenza, con la conseguenza di una perdurante recessione. Tutto ciò non fa che sottolineare la situazione di possibile vulnerabilità nella quale si trova ancora l’Italia.

Allora diciamo che la nostra emergenza ha davanti ancora un percorso difficile e periglioso; serve tutto il tempo della prossima legislatura parlamentare per portare in sicurezza la Nazione. Sono necessarie, quindi, coerenza nei comportamenti, negli obiettivi da perseguire e negli impegni di governo.

Ed allora cosa fare?

Diciamo subito che il quadro politico-partitico che possiamo al momento riscontrare non indica riflessioni ottimistiche. Il partito di maggioranza relativa alle elezioni delle 2008 appare in preda ad una crisi di identità, di strategie, di prospettive. Se l’interpretazione della lotta politica del PDL fosse di tipo militare, potremmo dire che il Libano e la Striscia di Gaza sarebbero oasi di pace. Nello spazio di un anno sono venuti meno i capisaldi sui quali erano stati costruiti i presupposti della vittoria nell’ultima competizione politica: si è registrata la sconfitta al Comune di Milano, di Cagliari, di Palermo e di altri centri del Nord; le dimissioni, quasi contemporanee, delle giunte regionali della Lombardia e del Lazio.

Ad oggi appare ancora del tutto imprevedibile il possibile punto di equilibrio sul quale si potrà realizzare una eventuale convergenza tra le componenti di quel partito. In questo contesto appare impossibile prevedere una proposta politico-programmatica che possa esprimere un efficace impegno per il governo della crisi in atto.

Sul fronte opposto, il centro-sinistra.

Bisognerà verificare se la coalizione, come è oggi delineata, potrà esprimere un efficace progetto di governo, vista l’estrema eterogeneità di obiettivi e di programmi, non solo nel perimetro della coalizione, ma addirittura all’interno dello stesso PD, con il dualismo tra i due principali concorrenti, che più che confrontarsi sui temi concreti, sembrano indicare visioni complessive contrapposte. Occorrerà vedere, a risultato registrato, che tipo di sintesi politica sarà possibile conseguire.

Se a questo quadro preoccupante, si aggiunge il dato problematico dell’alto tasso di astensionismo al momento ipotizzabile (circa il 50% dell’elettorato ritiene di non andare a votare), e la prospettiva elettorale della lista "Movimento 5 Stelle", risulta chiaro che qualunque delle due potenziali coalizioni dovesse ottenere il miglior risultato elettorale, essa non raggiungerebbe, nella migliore delle ipotesi, nemmeno il 20% del totale degli aventi diritto al voto; e forse, nemmeno il 35% dei voti validi. Da ciò la corsa smaniosa ad approvare una legge elettorale, questa volta veramente truffaldina, che dovrebbe trasformare una sconfitta politica in una generosa, ma incomprensibile e fragile, maggioranza parlamentare. In sintesi il Paese sembra voler bocciare le proposte politico-programmatiche oggi prospettate.

Da queste premesse scaturisce la proposta del Pri di un governo politico a guida del sen. Monti, che costruisca la maggioranza parlamentare sui partiti e movimenti politici investiti, in tal senso, dal risultato elettorale. Anche qui, cari amici, si sono svegliate le coscienze di tanti leader o presunti tali che vantano le primogeniture di proposte da noi fatte da tempo.

C’è al momento un fronte sufficientemente ampio, che persegue questo medesimo obiettivo; ma appare alquanto variegato E’ necessario che partendo da questa articolazione si arrivi a un progetto politico organico, che possa offrire alla presidenza Monti una base programmatica chiara ed efficace, che abbia come punto di riferimento la cosiddetta agenda Monti, arricchita di ulteriori significativi contributi programmatici. La questione da dirimere poi è come dare forte respiro progettuale e visione strategica a questa proposta, che non deve apparire solo come un riferimento ad una persona, pur essa di grande prestigio professionale, di alto profilo morale, di forte connotazione di uomo di Stato, ma che sia l’espressione di una ritrovata capacità degli Italiani di vivere la politica con partecipazione , con passione e con fiducia per il futuro.

Il consiglio nazionale deve indicare una forte iniziativa del Pri, finalizzata ad ottenere l’assunzione collegiale di responsabilità, di guida e di gestione delle problematiche, essenziali per portare a compimento il progetto.

Il Pri mette in gioco la sua costituente liberal-democratica e i contenuti programmatici che vengono portati all’approvazione di questo consiglio nazionale.

Parafrasando un pensiero di Cattaneo diciamo che il progetto liberaldemocratico è una pianta dalle mille radici: non siamo né gelosi né rinchiusi nel nostro recinto; a chiunque vorrà partecipare non chiederemo da dove viene, ma dove vuole andare, e se la meta è la stessa sara il benvenuto. Riprendendo la riflessione iniziale, diciamo che noi perseguiamo l’obiettivo di una nuova Italia, così come lo perseguiva Mazzini; e siamo sicuri che se, all’inizio del suo percorso rivoluzionario per realizzare l’unità d’Italia, qualcuno gli avesse obiettato qualcosa, Mazzini gli avrebbe sicuramente risposto: "lasciateci sognare, sognare in grande". Anche noi oggi esprimiamo lo stesso pensiero, ritenendo che possiamo operare per realizzare un Paese più grande, più giusto, più moderno; modello di democrazia in una Europa unita e federata.

Come diceva Giovanni Spadolini in una sua relazione congressuale (1980): "Il Pri non è un momento né un frammento dell’area laico-socialista".

Dopo tanti anni noi possiamo ben dire che il Pri non è un frammento di alcuno: il Pri è il Pri. Punto!

Noi non ci faremo travolgere né dai disperati né dai reazionari, non ci faremo travolgere né dai populisti né da venditori di fumo. Come sempre siamo per gli interessi generali, anche se per tutelare gli stessi sappiamo che non saremo amati dentro le urne elettorali.

Siamo il partito che per storia, tradizione, cultura e impegno politico può coniugare gli interessi dei lavoratori con quelli degli imprenditori e con quelli dello Stato.

Siamo il partito della liberaldemocrazia che con sapienza e lungimiranza riesce a coniugare le libertà inalienabili dell’individuo con la sovranità popolare.

In ciascuno di noi repubblicani, lo si voglia ammettere o meno, c’è il senso di quella religiosità laica che ispirò la vita di Mazzini.

Siamo un partito molto povero di mezzi e, purtroppo diciamolo con franchezza, la generosità dei repubblicani latita sempre di più. Siamo il partito, però, che ha attraversato la tempesta della questione morale senza cadere, come è successo ad altri partiti ben più solidi del nostro.

Non abbiamo timore di niente e di nessuno ma abbiamo piena coscienza che, se vogliamo fare anche solo un piccolo passo, dobbiamo trovare alleati e quindi trovare dignitosi compromessi. Quei compromessi non da bottegai, ma da uomini illuminati che si prefiggono obiettivi ambiziosi, ma non hanno la forza di raggiungerli in completa autonomia. Quei compromessi che hanno portato il Pri ad allearsi con la DC per oltre quarant’anni e Mazzini a scrivere a Pio IX, pur di ottenere l’unità d’Italia.

Continuiamo a lavorare e a seminare idee, a fornire ai giovani gli strumenti necessari affinché, se ne avranno voglia e passione, si possano dedicare alla politica con possibilità cognitive repubblicane.

A dicembre torneremo ad organizzare un corso per giovani repubblicani e anche non repubblicani. Abbiamo insita in noi l’idea dell’apostolato. Seminiamo oggi per raccogliere i frutti negli anni a venire, come altri hanno fatto con noi.

Non ci appartiene e non ci è mai appartenuto il settarismo, né visioni teologiche del nostro partito.

Cari amici, mi avvio alla conclusione ricordando a tutti voi l’insegnamento principale di Oddo Biasini: l’unità del partito è il bene più prezioso cui i repubblicani possono aspirare, disperderlo sarebbe come pugnalare il partito stesso.

Se ci sono problemi basati su idee diverse discutiamone tutti insieme; sarà più facile superarli se i problemi sono dettati da ragionamenti e non da pregiudizi.

Ripeto: meglio avere torto all’interno del proprio partito che ragione fuori di esso.

Come dissi al Congresso di Chianciano del 2000: "Non disperdiamo il patrimonio di energie che possediamo in sterili puntigliosità".

La classe politica italiana non ha visto né intravisto i problemi del Paese, né la corsa ad alta velocità verso il baratro.

Siamo gli eredi politici di Ugo La Malfa e, perciò stesso, in difesa di una "politica realistica, pragmatistica, aderente alle possibilità e ai bisogni del Paese".

Veniamo da lontano e vogliamo andare lontano, siamo il partito del futuro, mondi da gravi errori storici, siamo il partito della Repubblica Romana, siamo il partito di Giovanni Conti e contemporaneamente di Ugo La Malfa, siamo il partito di Randolfo Pacciardi e contemporaneamente di Giovanni Spadolini.

Siamo il Partito Repubblicano.

E se le giovani generazioni ci daranno forza continueremo ad essere sempre più il Partito Repubblicano.